LA LEGGENDA DEL PIANISTA SULL'OCEANO |
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di Giuseppe Tornatore, con Tim Roth, Taylor Vince
(Italia, 1999)
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Quello di LA LEGGENDA DEL PIANISTA SULL'OCEANO è un bel soggetto: la storia di Novecento, nato a cavallo dei due secoli a bordo di un transatlantico, che decide di non abbandonare mai più quella sorta di zattera esistenziale. Ed è pure una bella sfida: un'impresa insolita e coraggiosa nel quadro conformista e timoroso del cinema italiano. Non solo perché è costato l'inusitata cifra alle nostre latitudini di oltre trenta milioni: ma perché vuol essere un cinema alla grande, come era alla grande il cinema del Visconti che girava LUDWIG, del Fellini che inventava un altro piroscafo, il Rex, del Sergio Leone che si misurava in casa degli americani con il sublime C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA. Ma quello di LA LEGGENDA è pure un esempio di smisurata megalomania. E se il pensiero, le ambizioni se preferite, sono liberissimi di lasciarsi andare verso lidi di sconfinata latitudine, la scrittura, l'espressione devono essere sorrette se non dal genio, perlomeno dal rigore dell'ispirazione. Ogni scena, al contrario, del cinema di Tornatore sembra invece dettata dall'esagerazione, la sottolineatura, l'ampollosità. Quasi che ad ogni istante il regista reclamasse l'ammirazione dello spettatore: guardate, quanto sono bravo. Passi, questa magnificazione dell'inquadratura, della prospettiva, dell'illuminazione, dei suoni, delle musiche quando si tratta di sorvolare la mole di un transatlantico che si avvicina alla Statua della Libertà. Ma quando si tratta di entrare nell'intimo dei personaggi o di rivelare il dettaglio dell'attimo fuggente, allora l'enfasi diventa insopportabile, la metafora trasparente. E la parabola, ahimè interminabile.
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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capolavoro
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